I cappelletti, in dialetto “Caplètt”, così chiamati per la loro forma che ricorda un cappello, sono un vero e proprio piatto della tradizione romagnola da oltre 200 anni.
L’avidità di tale minestra è così generale che da tutti, e massime dai preti, si fanno delle scommesse di chi ne mangia una maggior quantità, e si arriva da alcuni fino al numero di 400 o 500. Questo costume produce ogni anno la morte di qualche individuo per forti indigestioni. (Prefetto di Forlì 1811)
Certo, in passato rappresentavano un piatto nobile, simbolo di benessere e ricchezza tanto che tra gli auguri più graditi del primo Gennaio in Romagna ce n’era uno che recitava proprio così: “Cappelletti a tavola tutto l’anno”.
Di uova, infatti, soprattutto nel periodo invernale nel pollaio se ne trovavano poche, e quelle che c’erano venivano vendute al mercato per acquistare sale, sapone, lana, olio, petrolio per i lumi o un po’ di pesce.
Così l’ Azdora spesso faceva la sfoglia senza uova per le minestre del pranzo e della cena e solo in occasioni speciali come il Natale preparava questa gustosa pasta ripiena con formaggi o formaggi e carne, immersa in brodo di gallina o cappone.
E non c’era famiglia che per Natale rinunciava a un piatto di Cappelletti.
La loro preparazione era una sorta di rituale a cui partecipavano tutte le donne di casa la sera della vigilia, e anche i bambini.
Chiudere una gran quantità di cappelletti, infatti, non era impresa da poco!
E ancor oggi a Rimini non è Natale senza cappelletti e questa tradizione romagnola di aiutare la nonna a chiuderli continua a tramandarsi.
Io sinceramente preferisco la versione più povera, ovvero quella con un ripieno di soli formaggi, ma può essere anche arricchito con carne bianca tritata.
Che ne dite proviamo a farli? Ecco la mia ricetta per 4/6 persone!
Per il ripieno:
- 200 gr di ricotta
- 100 gr di formaggio raviggiolo (se non lo trovate va benissimo anche dello stracchino)
- 100 gr di parmigiano reggiano (io faccio metà parmigiano e metà formaggio di fossa )
- 1 uovo
- noce moscata
- sale
- pepe nero macinato
Per la pasta:
- 4 uova medie
- 400 gr di farina di grano tenero “00” (le nonne contano 100 gr di farina per ogni uovo)
In una ciotola iniziare a preparare il ripieno mescolando la ricotta, il formaggio raviggiolo, il parmigiano, l’uovo, una grattugiata di noce moscata, una presa di sale e una spolverata di pepe. Coprire con della pellicola trasparente e lasciar riposare il composto in frigorifero.
Su di un tagliere disporre la farina a “fontana”, creare un buco al centro e farci scivolare le uova. Con l’aiuto di una forchetta mescolare bene le uova fino a che non avranno ottenuto un aspetto fluido, a questo punto iniziare a incorporare la farina partendo dell’alto. Iniziare ad impastare con delicatezza fino a che il composto non avrà raggiunto la consistenza desiderata (c’è a chi preferisce ottenere una sfoglia più ruvida e chi più liscia).
Formare un palla e lasciarla riposare sul tagliere coperta da una ciotola per circa 30 minuti.
Ed è qui che entra in scena il cosidetto “olio di gomito” dell’azdora che con il mattarello fa miracoli, dando vita ad una sfoglia impeccabile, morbida, sottile e soprattutto senza rotture. Se non si ha molta esperienza si può sempre scegliere di stendere la sfoglia con una macchinetta dividendo l’impasto in 4 parti.
Tagliare la pasta con un rotella dentata o con un coltello in quadrati di circa 4/5 cm di lato, porre al centro di ognuno un cucchiaio di ripieno e chiuderli velocemente uno ad uno ecco come:
piegare il pezzetto di pasta a metà facendo combaciare le due punte, fare aderire bene i bordi schiacciandoli e unire le altre due estremità del triangolo intorno al dito. Porli infine in dei vassoi infarinati e lasciarli riposare per circa 1 ora in un luogo fresco e asciutto.
Cuocere nel brodo di carne (brodo di gallina o cappone) per circa 1/2 minuti dalla ripresa del bollore (quando sono pronti vengono a galla!)
Servire con una bella spolverata di Parmigiano Reggiano.
Buon Appetito!